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Cronache dalla città del piano
Cronache dalla città del piano
13/05/2013
Due sorelle. Quattro mani, che danzano sui tasti di un pianoforte alternandosi e intrecciandosi,...
Due sorelle. Quattro mani, che danzano sui tasti di un pianoforte alternandosi e intrecciandosi, senza mai urtarsi. E una sola passione in comune: il cinema. Anzi due, ma la musica, forse, per queste due sorelle che suonano da sempre insieme e che da quattro anni riarrangiano le più celebri colonne sonore cinematografiche a quattro mani, è ben più di una passione. Federica e Francesca Badalini aprono le porte della loro abitazione-studio per uno degli House concert di Piano City Milano. Tra un geco leopardino che sonnecchia all'interno di una teca - è una femmina, di nome Geka - e una tartaruga che girovaga fuori dalla finestra nel giardino, accolgono i loro ospiti con sorrisi che creano subito un'atmosfera di naturalezza e piacevolezza. All'interno della stanza insonorizzata in cui il pianoforte domina la scena, accompagnano gli ascoltatori in un viaggio che va da Chaplin ad Angelopoulos, attraversando le note al quadrato di Morricone, Nino Rota e Michael Nyman e avventurandosi in sentieri meno conosciuti dai non addetti ai lavori. Il fine, ultimo, che Federica e Francesca perseguono con un loro progetto artistico, è quello di far (ri)scoprire e valorizzare in particolar modo l'apporto che le donne compositrici - fiori rari in un panorama quasi prettamente maschile - hanno offerto ad alcuni dei più bei film recenti e non, come ha fatto Rachel Portman per Chocolat. Alla fine di questo viaggio cine-musicale, una sorpresa attende gli spettatori, e anzi prende corpo proprio da essi. Alessio e Marinella danno forma, ballando, alle suggestioni sonore evocate da Francesca e Federica. La musica prende vita, nella sua sensualità, dolcezza, tristezza e malinconia. Tutte le sfumature sono comprese all'interno della luce soffusa che circonda i ballerini, le musiciste, chi ascolta. Lo spettacolo termina e c'è subito il rimpianto che sia finito troppo presto. Ma anche il geco (e soprattutto la splendida bambina di Francesca) meritano un po' di attenzione. (Francesco Loiacono)
12/05/2013
Le quattro meno dieci. Ci siamo quasi. E’ tutto pronto. Jacopo Marai, 16 anni, pantaloni corti, ...
Le quattro meno dieci. Ci siamo quasi. E’ tutto pronto. Jacopo Marai, 16 anni, pantaloni corti, maglietta e collanina, mostra qualche accenno di timidezza. Sono venuti in una trentina per sentirlo suonare il pianoforte nella sua sala. Eppure, a guardarlo bene, Jacopo non è affatto timido. E’ sicuro di sé e degli spartiti. Non gli danno fastidio le foto, non lo impressionano i complimenti né gli applausi, tanti, che amici, parenti e sconosciuti gli riservano quando si siede e parte. Forse è la forza dell’abitudine. Ai tasti, Jacopo alterna pezzi classici – come Chopin, Mozart e Brahms - alle sue giovani composizioni. La prima, “Jumpin’”, l’ha scritta due anni fa: “Mi ricorda un bambino che salta allegro”. Vero. Di bambino a Jacopo è rimasto poco, ma qualcosa s’intravede. Come la semplicità con cui spiega la genesi dei pezzi che ha composto e presto registrerà: “Avant d’aller à l’ecole, prima di andare a scuola, si chiama così perché mi sono svegliato con questa melodia in testa, un giorno, prima di andare a scuola”. La scuola è il liceo Vittorini, scientifico tosto che riesce a gestire nonostante le lezioni di piano. Ad alcune ragazze sue coetanee, sedute in prima fila, brillano gli occhi e si stampa un sorriso in volto mentre Jacopo suona. Poco più in là, sul divano, c’è anche la mamma, nel giorno della sua festa. Non c’era quando suo figlio ha composto “Solo per un po’”: “Ero a casa da solo per qualche giorno e l’ho scritta…”. Se è sempre così, sarà il caso di lasciarcelo più spesso. Dopo “L’altalena”, l’ultimo allegro brano del suo repertorio, ma prima del bis accordato con un’improvvisazione, Jacopo chiude con “Hallelujah” di Leonard Cohen. Il pezzo perfetto per completare il flusso di emozioni trasmesse da quei tasti dritte al petto. Ed è qui che arriva il brivido più forte. “La dedico a mia nonna, che da poco non c’è più, e che mi ha regalato questo pianoforte”. (Francesco Giambertone)
12/05/2013
La cornice del giardino all'inglese della villa reale di Palestro. Un pianoforte al centro dello...
La cornice del giardino all'inglese della villa reale di Palestro. Un pianoforte al centro dello spiazzo circondato dal torrente che si snoda sinuoso nel parco. Seduto al pianoforte Paolo Jannacci, 40enne pianista, compositore e arrangiatore che ha nel Jazz il suo genere di riferimento. Figlio, non c'è bisogno di ricordarlo, del grande Enzo, simbolo della canzone milanese e italiana recentemente scomparso. Alle 19 l'inizio della performance: come da copione, nessuno spartito. Solo la memoria straordinaria e l'estro dell'improvvisazione, caratteristiche imprescindibili per ogni jazzista. Un variare repentino di ritmi e toni a cui si accompagna un forte coinvolgimento fisico di Jannacci, che su quei tasti bianchi e neri ci si butta quasi con tutto il corpo. Finito un brano, Paolo Jannacci riceve il tributo del pubblico e, alzandosi in piedi, annuncia l'esecuzione del prossimo pezzo. Un pezzo a cui, visibilmente, tiene molto, perché dedica qualche momento a descriverne la concezione e il significato. L'inizio del racconto è quasi metafisico: "Per me la musica è soprattutto traduzione di immagini, pensieri, concetti." Per poi farsi concreto e narrare la fonte di ispirazione del brano: "Il paradiso perduto" di Milton, in particolare la figura di un Lucifero disperato cacciato dal Paradiso e precipitato negli Inferi. L'immagine dell'arcangelo che con la sua superbia voleva superare Dio stesso ed è poi caduto nel punto più basso del creato ha ispirato la composizione di un pezzo davvero coinvolgente. Terminato il "Paradiso Perduto", Paolo Jannacci si è alzato, ha risposto con diversi inchini agli scroscianti applausi della folla raccolta intorno al suo pianoforte e si è allontanato per i sentieri sterrati del giardino. Piccolo paradiso verde "ritrovato" nel cuore di Milano.
12/05/2013
«Ringrazio Milano per l’accoglienza. Io non sono di qui ma sto diventando uno di qui. E ora vi c...
«Ringrazio Milano per l’accoglienza. Io non sono di qui ma sto diventando uno di qui. E ora vi chiederei di osservare un minuto di silenzio per quei fratelli che ieri hanno vissuto un’aggressione ingiustificata». A parlare è Enobo Martin, camerunense: prima del concerto. Il suo evento, previsto in metropolitana, alla stazione di Porta Venezia, parte così. Nel segno della fratellanza e della speranza. Poi, quando si mette al piano, bimbi in bicicletta, passanti, visitatori accorrono mano mano, attorno al pianoforte, rapiti. Lui Enobo, li coinvolge. Prima con due brani poco conosciuti ma bellissimi, poi con suoi arrangiamenti di No Woman no cry, La canzone del sole di Lucio Battisti: «Arrivai in Italia ed era venuto a mancare, mia mamma aveva un 33 giri in Africa e ascoltava sempre questa canzone», fino a “We are the world”. Il pubblico, prima timido, arriva a cantare e a ballare, coinvolto dal suo pianista. I presenti si avvicinano, formano un cerchio attorno a lui. E’ l’immagine più bella: la Milano che accoglie. @Luigi_Brindisi
12/05/2013
Il tram è il luogo dei pensieri e delle preoccupazioni. Lo prendi al mattino quando devi andare ...
Il tram è il luogo dei pensieri e delle preoccupazioni. Lo prendi al mattino quando devi andare al lavoro, non c’è tempo per pensare ad altro. Oggi pomeriggio, dalle 15 e 30 in poi, è diventato quello della rilassatezza, delle musiche allegre e leggiadre, e i passeggeri, per pochi minuti, hanno potuto dimenticare ciò che fuori dalla corsa Piazza Fontana, Castello Sforzesco li attende, rapiti dalle melodie del duo Giovanni Luca Mazzei e Angela Floccari. Dopo una breve storia su come è nata la linea tramviaria milanese, la partenza. Chi a terra, chi seduto, ad ascoltare i valzer di Johannes Brahms, le danze norvegesi, slave, rumene di Edvard Crieg, Anton Dvorak e Bela Bartòk (arrangiata dai due protagonisti), per chiudere nuovamente con le danze ungheresi di Johannes Brahms. Neanche il tempo di arrivare e ti accorgi che sei arrivato a destinazione: c’è un mare di gente che attende di salire per un’altra corsa. La vita attende, al di fuori del tram. @Luigi_Brindisi
12/05/2013
La coda, sotto la fermata ATM di piazza Fontana, comincia a formarsi già alle quattro del pomeri...
La coda, sotto la fermata ATM di piazza Fontana, comincia a formarsi già alle quattro del pomeriggio. Sole caldo, neanche un filo di vento ma per i Beatles questo e altro. Alle 17 e 30 arriva il tram. Invece della destinazione, il cartello recita «Servizio speciale». E l'esperimento del Piano Tram non potrebbe essere riassunto in modo migliore: un servizio che, per un giorno, diventa speciale. Succede, a Milano, che se sali su un tram ti trovi un pianoforte a muro, uno sgabello e un pianista che saluta così il suo pubblico: «Suono perché esistono i Beatles». Fabrizio Grecchi ha tre anni quando suo padre lo trascina di fronte alla tv. Lì ascolta "All you need is love", cantata in mondovisione. Pochi mesi dopo arriva a casa un pianoforte, per la sorella maggiore. Lei smette dopo sei mesi, «io sono diventato un musicista». Prima di iniziare con i Beatles, però, Grecchi suona le prime note di Gymnopédie N.1 di Erik Satie e chiede al pubblico un minuto di silenzio, per ricordare Niguarda e «questa nostra città a cui è stato fatto del male». Il tram comincia a muoversi, lentamente, si snoda sulle rotaie. La città scorre dietro i vetri dei finestrini. E Grecchi inizia il suo concerto. «Scegliere i brani è stato difficilissimo, alla fine ho fatto un mischione». Parte con "Lady Madonna", poi seguono "Eleanor Rigby", pezzi più ritmati come "Drive my car" e "I've just seen a face", altri più nostalgici come "While my guitar gently weeps" e "Hey Jude". Quando il tram arriva a destinazione, Piazza Castello, il pubblico implora Grecchi di fare il bis. Lui lo concede. «Magistrale», dirà, a corsa terminata, Filippo Del Corno, neo assessore alla Cultura, a bordo del tram insieme a moglie e figli. «Vedere la città che scorrere così, mentre la musica suona, è veramente meraviglioso», commenta Del Corno. «Tre anni fa sono stato a Liverpool», racconta Grecchi. «La città era piena di pianoforti rossi che suonavano. Ho pensato che sarebbe stato bello farlo anche a Milano. E l'anno dopo è arrivato Piano City. Si vede che andare a Liverpool porta fortuna». Quei quattro ragazzi sarebbero stati d'accordo con lui. Susanna Combusti
12/05/2013
"Vengo anch'io? No, tu no!" Questa è la risposta che gli organizzatori di Piano City hanno a mal...
"Vengo anch'io? No, tu no!" Questa è la risposta che gli organizzatori di Piano City hanno a malincuore dovuto dare al numerosissimo pubblico accalcato sulla banchina del tram in piazza Fontana, pronti a saltare a bordo della corsa dedicata alla musica di Enzo Jannacci. La vettura colma di gente è partita alla volta di piazza Castello, un viaggio al contempo fisico e musicale, sulle note delle più famose canzoni dell'artista milanese. Ad allietare i passeggeri c'era Guido Baldoni, classe 1983, professionista del piano da una decina d'anni. "Nel 2012", racconta Baldoni, "ho collaborato con il cantautore Alessio Lega per un ciclo di dieci concerti dedicati alla musica d'autore; tra i brani arrangiati ce n'erano alcuni di Jannacci. Da qui è nata la mia collaborazione con Piano City". Nel giro di mezz'ora il tram ha attraversato il centro cittadino, passando per piazza Duomo, Codusio, Brera. Complice il bel tempo, i finestrini aperti filtravano all'interno della vettura la luce del sole e diffondevano tutt'intorno le note de "L'Armando" e de "El purtava i scarp de tennis". Arrivati a destinazione una folla numerosa come all'andata aspettava il tram successivo. Altro giro, altra corsa.
12/05/2013
Una ha i capelli biondi e corti, l'altra rossi e lunghi. Ma di diverso, Elettra Capecchi e Carlo...
Una ha i capelli biondi e corti, l'altra rossi e lunghi. Ma di diverso, Elettra Capecchi e Carlotta Forasassi, hanno solo la capigliatura. Le somiglianze tra le due pianiste del duo Mad Emoiselle sono molte. Entrambe giovani e toscane (una di Firenze, l'altra di Pistoia), entrambe con la passione per il piano e i compositori classici: Mozart, Rossini, Schubert, Ravel, Debussy. Quando suonano sono in simbiosi perfetta, un corpo solo. Se la musica si scrivesse come una ricetta, gli ingredienti delle Mad Emoiselle sarebbero note e tanta ironia. A partire dal nome, che fa il verso alle mademoiselle francesi, facendole diventare "pazze". E nel concerto di questa mattina allo spazio Crescendo di viale Cassala, il duo toscano ha suonato - per un'ora e mezza - giocando con il pubblico e con i grandi classici. La scaletta dei brani non c'era, o meglio, c'erano i brani ma a decidere l'ordine è stato il pubblico, perché l'idea delle Mad Emoiselle era di fare «una lotteria di musica classica». Si spazia lungo due secoli, '800 e '900. Prima di eseguire un brano le Mad Emoiselle si dilungano, ne parlano con l'affetto con cui si parlerebbe di un figlio, di un amico. Il concerto inizia alle 11 e 30, loro continuano fino all'una. «Si è fatta una certa», commenta, ironica, Elettra. Ma fosse per loro continuerebbero per ore. Si divertono. Coinvolgono il pubblico. Un bambino estra il Bolero di Ravel. «Questo dura un quarto d'ora», avverte Carlotta. Che inizia, poi, a parlare di Ravel, di suo padre, che era un operaio, e di come il musicista avesse composto quel brano proprio pensando al movimento frenetico e pulsante delle macchine. L'ultimo pezzo è "Rapsodia Blue", di Gershwin. Su queste note si apre "Manhattan", il film di Woody Allen. Di Gershwin Carlotta racconta un annedoto, che è forse più leggenda che verità. «Gershwin riconosceva in Ravel il più alto grado di composizione. Un giorno andò da lui a chiedergli di insegnargli a comporre. E Ravel gli rispose: perché essere un mediore Ravel quando puoi essere un ottimo Gershwin?».
12/05/2013
Prossima fermata…swing! È un viaggio magnifico quello di domenica mattina sul tram che porta da ...
Prossima fermata…swing! È un viaggio magnifico quello di domenica mattina sul tram che porta da Piazza Fontana al Castello Sforzesco! Un pianoforte, una chitarra e un rullante e la Woody Gipsy Band riescono a fare l’impossibile: far viaggiare sul tram i milanesi col sorriso. Al pianoforte Stefano Ivan Scarascia passa da Django Rehinard a Jimmy Smith con un ritmo e una passione contagiosi. Summertime e Saint Louis Blues sono la colonna sonora che accompagna il pubblico da Piazza Duomo fino a Cadorna. Da fuori i passanti cercano di capire cosa stia succedendo in questo tram un po’ fuori dall’ordinario. Foto e flash accompagnano il passaggio di questo incredibile “tram-concert”. “Tutti brani sono a richiesta, si prega di prenotarli per tempo”, si legge sotto il programma. E l’unico dispiacere è proprio il tempo: troppo poco! Ci vuole più swing per questa città! (Maria Elena Zanini)
12/05/2013
Le note si mischiano alla voce dell’altoparlante nella metro di Garibaldi. Nel mezzanino, in un ...
Le note si mischiano alla voce dell’altoparlante nella metro di Garibaldi. Nel mezzanino, in un angolo, c’è un piano nero con una bambina appollaiato sullo sgabello. Attorno, un gruppetto di famiglie, qualche fotografo e una ragazza riccia che parla con una mamma: è Giulia Molteni, pianista classe ’87 che passerà la mattinata con loro. Si aspettano gli ultimi ritardatari e finalmente si comincia. L’evento si chiama “Jazz for Kids” ma l’inventario andrà ben oltre il jazz, spaziando dalle ninna nanne alle marce ai valzer. Prima di divertirsi, però, gli organizzatori vogliono proporre un piccolo gesto di civiltà: una “Gymnopédie” di Erik Satie per ricordare l’uomo ucciso ieri a Niguarda da un gesto di ordinaria follia. Poi Giulia chiama tutti i bambini attorno al piano: “Oggi dovete partecipare anche voi”, spiega, e non sa che lo faranno senza farsi pregare. Qualcuno di loro è stato portato qui dai genitori solo per oggi, magari perché suona il piano anche lui, qualcuno invece Giulia già la conosce perché fa parte del suo gruppo di musicoterapia, Esagramma. Lei prende un sacchetto blu e fa estrarre i bigliettini ai bambini con quello che suonerà. Nel primo c’è scritto “Pronti, partenza, via”: si comincia con una specie di medlay, che all’inizio è “Il Mattino” dal Peer Gynt di Edvard Grieg e poi si lascia contaminare da altri brani. Subito dopo è il momento della storia, quella di Novecento, il bambino che è cresciuto su una nave e ha imparato a suonare il piano così bene che i migliori jazzisti s’imbarcavano per sfidarlo. Tra loro c’era anche “Jelly Roll” Morton, che i presenti riascoltano grazie alle dita di Giulia sulla tastiera. I bambini non perdono l’attenzione: incentivati, a tempo debito, da dosi di caramelle, indovinano man mano la funzione di quello che si suona, se è una canzone d’amore o se serve per ballare o far addormentare. Oppure – e in questo hanno l’orecchio fino – da quale dei loro cartoni animati preferiti proviene. Infine, mente Giulia suona “Over the rainbow” per i più grandi, loro si danno al dipingere la musica coi pennarelli. E Garibaldi si riempie di piccoli arcobaleni.
12/05/2013
Beatles e Rolling Stones. La rivalità fatta musica, secondo uno stereotipo antico. In realtà, so...
Beatles e Rolling Stones. La rivalità fatta musica, secondo uno stereotipo antico. In realtà, soltanto due diverse, ma complementari, anime musicali del vivace decennio a cavallo tra 1960 e 1970. In un'inedita reinterpretazione in chiave jazz, Laura Fedele e Carlo Uboldi giocano con le melodie delle due band. Improvvisano a quattro mano e tessono così un fil rouge tra i brani, più o meno noti, di Stones e Fab Four. "Non presentiamo i titoli delle canzoni per non togliere al pubblico il piacere di indovinare", scherza Laura Fedele. Il primo pezzo è inconfondibile: Eleanor Rigby, successo del 1966, seconda traccia dell'album Revolver. Poi via a Jagger e compagni. Circa un'ora di concerto nel verde dei Giardini di Palazzo Reale, sessanta minuti che accompagnano un pubblico divertito e con voglia di partecipare: "Poi però interrogateci sui titoli, vediamo chi li riconosce!", chiede qualcuno. Il pezzo scelto per chiudere l'esibizione, prima del bis, porta, come quello d'apertura, la firma del gruppo di Liverpool. Ancora una volta, è dedicato a una donna: Michelle, "ma belle, these are words that go together well". Parafrasando i Beatles, alle volte "all you need is..." (tutto ciò di cui hai bisogno è) una domenica così. (Giulia Carrarini)
12/05/2013
Partiamo dalla fine. Da un pianoforte solitario che arreda un angolo della nuova stazione della ...
Partiamo dalla fine. Da un pianoforte solitario che arreda un angolo della nuova stazione della metropolitana MM5 Bicocca, donandole l'aria di un enorme salotto di qualche eccentrica abitazione. Simone Quatrana ha appena concluso il suo concerto, il pubblico si è allontanato. E' ora di pranzo, e all'interno della stazione rimangono solo alcuni dipendenti dell'ATM. Uno di loro si avvicina al piano, si siede sullo sgabello, e inizia ad intonare una melodia che riempie gli enormi spazi della metropolitana, ammutolendo altoparlanti, treni, annunci di treni che arrivano e che partono. La magia di Piano City è anche quella di trasformare gli spazi quotidiani donando, a chi li attraversa, una piacevole sensazione di spaesamento. Lo ha fatto, prima del dipendente ATM, il giovane pianista Simone Quatrana, classe 1984, proponendo per un'ora pezzi del suo repertorio che vanno da Theolonious Monk a Miles Davis, passando per altri mostri sacri del jazz come Duke Ellington e la sua In a sentimental mood, o Autumn Leaves, altro standard reinterpretato da tutti coloro che hannoi scritto la storia di un genere che si rinnova a ogni tocco di piano. Simone, spartito sull'I-pad, scaletta segnata a penna su di un foglio di carta, accoglie chi si ferma ad ascoltarne il talento, distrae per un attimo dalle preoccupazioni chi è in ritardo per un - comunque poco opportuno - appuntamento domenicale, rende più piacevole la giornata a chi, pur essendo domenica, è costretto a lavorare. In ogni caso, non lascia indifferenti. E mi fa sorgere una domanda: come cambierebbe la metro se ci fossero sempre pianoforti disseminati all'interno delle sue stazioni? Almeno per un giorno, Piano City me lo ha fatto capire. (Francesco Loiacono)
12/05/2013
La prima delle dieci corse di Piano Tram non poteva cominciare più in allegria. Grazie al ragtim...
La prima delle dieci corse di Piano Tram non poteva cominciare più in allegria. Grazie al ragtime, dall'inglese “tempo a brandelli”, il ritmo sincopato di Scott Joplin e di New Orleans, delle danze scanzonate e della Stangata. Prima di partire la Gymnopédie di Erik Satie, brano malinconico – e senza applausi finali – in segno di solidarietà per le persone coinvolte nei gravi fatti di Niguarda. Poi venti minuti di corsa da piazza Castello a piazza Fontana sulle note di uno strumento suonato a bordo da Paolo Calandrino, ribattezzato “il pianistram”. Alla guida Dario Faggianelli, sul fondo Mattia Fabris, attore della compagnia Atir e “controllore speciale” della vettura. «Un viaggio fisico ma anche dell'anima», lo ha definito Fabris, che si è esibito in una performance autobiografica sull'equivoco tra “tran-tran” e “tram-tram”. Nulla di ordinario nella tratta lungo via Torino e via Larga, con gli sguardi dei viaggiatori alle fermate puntati su quel mezzo musicale a passo d'uomo, targato 1641. Dentro 45 passeggeri più cinque membri dello staff e gli artisti, tutti attaccati alle maniglie per stare più vicini al pianoforte. Una signora 80enne registra il video dell'esibizione con il suo smartphone. La discesa arriva troppo presto, e viene voglia di andarsene ballando. (Lucia Maffei)
12/05/2013
Le dita che scivolano sui tasti e all’improvviso il silenzio. I rumori e le parole svaniscono qu...
Le dita che scivolano sui tasti e all’improvviso il silenzio. I rumori e le parole svaniscono quando sul palco sale Ludovico Einaudi. La musica copre i suoni, i bisbligli, ogni genere di vibrazione. Anche lo scroscio dell’acqua nelle fontane sembra fuori luogo. Silenzio mentre Einaudi attacca “Oltremare” nel giardino della Galleria d’arte moderna, e così per l’intera ora e mezza di concerto. Filippo Timi spezza le note con i suoi monologhi e non passa indifferente il rumore di una sirena, l’unico suono diverso da quello del pianoforte e delle parole. C’è ironia e passione nelle sue frasi, una dose di divertimento e poesia. Il pubblico ride quando Timi paragona gli esercizi di una giovane pianista agli allenamenti di pallavolo di Mimi Ayuhara, il personaggio del cartone animato “Mila e Shiro” costretto ad allenarsi con le catene ai polsi. Einaudi taglia il fiato a chi lo ascolta. Facce incantate, occhi chiusi, abbracci, baci, teste appoggiate sulle ginocchia: ogni nota provoca un’emozione diversa in chi ascolta, quasi un confronto aperto con la propria coscienza. Timi cattura di nuovo l’attenzione con la sua voce. Il secondo monologo, “Dichiarazione d’amore di un pianoforte al suo compositore”, appassiona fino alla fine. Sembra un dialogo tra due amanti fatto di parole dolci e di voce alta, come capita nella realtà a quelli che lo ascoltano. Quando, alla fine, viene svelato che il messaggio è firmato da un pianoforte, si alzano gli applausi e il pubblico, che durante il concerto era stato seduto nella spianata di fronte al palco. Einaudi chiude con la sua melodia, un assolo di note che accarezza chi l’ha ascoltato. Per tutto il tempo in silenzio. Luigi Caputo
12/05/2013
Hanno dai 9 ai 17 anni i cinque giovani pianisti che ieri sera hanno avuto l'occasione di esibir...
Hanno dai 9 ai 17 anni i cinque giovani pianisti che ieri sera hanno avuto l'occasione di esibirsi con l'orchestra Filarmonica di Bacau nella splendida cornice della Palazzina Liberty di largo Marinai d'Italia. E' stato, nell'arco della giornata, il secondo appuntamento con la manifestazione "Pianotalents with Orchestra": il primo, alle 18, ha visto esibirsi altri cinque piccoli artisti. Tutti e dieci, poi, sono stati insigniti di un diploma dal presidente dell'associazione culturale "Il clavicembalo verde" Angelo Mantovani, e dal maestro Vincenzo Balzani. Gli sguardi timidi e i modi impacciati nel ritirare l'attestato contrastavano con quello che sarebbe successo da lì a poco, durante le loro esecuzioni. La prima sorpresa la regala Jacopo Federico Maria McConnell con il concerto per pianoforte e orchestra in re maggiore di Haydn: un esile ragazzino biondo che sobbalza sullo sgabello seguendo i le variazioni di uno spartito che non c'è. A memoria si esibiranno anche tutti gli altri: Riccardo Zangirolami (concerto per pianoforte e orchestra K503 di Mozart), Guidorso Maria Coppin (concerto per pianoforte e orchestra op. 19 n. 2 di Beethoven), Andrea Mariani (concerto per pianoforte e orchestra op. 25 n. 1 di Mendelssohn) e Maximilian Trebo (concerto per pianoforte e orchestra op. 54 di Schumann). Il pubblico, numerosissimo, ha ascoltato con partecipazione le cinque esecuzioni, sciogliendo il silenzio con fragorosi applausi al termine di ciascun brano.
11/05/2013
Un rapido, quasi timido, inchino. Poi la musica, la musica e basta. Le note si susseguono sul pi...
Un rapido, quasi timido, inchino. Poi la musica, la musica e basta. Le note si susseguono sul piano, mentre nella Sala Arte Povera del Museo del 900 risuona "Time Table", da "Foxtrot", quarto LP dei Genesis, pubblicato nel 1972. Comincia così il concerto di Paolo Chiarandini, che in poco più di un'ora fa rivivere al suo pubblico le sonorità progressive del celebre gruppo britannico. "Time table", un vecchio tavolo che riporta al mondo sonoro di Peter Gabriel e compagni: un mondo ricco di riferimenti storici e poetici. Il pezzo riflette sull'inesorabilità della legge della natura, sulla caducità delle cose e della vita. Nella sua esibizione, Chiarandini attraversa, con numerosi salti temporali, tutta la carriera dei Genesis. Da "Blood in the rooftops" (1976), introdotto, nella versione originale, da un lungo assolo di chitarra classica, a "The cinema show" (1973), pietra miliare del rock progressive. Scritta a quattro mani da Mike Rutherford, chitarrista e bassista della band, e da Tony Banks, tastierista, la composizione è considerata tra le migliori del panorama mondiale del genere. A un'apertura tenue e sognante fanno seguito, nel brano del gruppo, sonorità ritmiche che crescono fino ad assumere tratti quasi barocchi. Un'atmosfera che il pianista traduce con fedeltà senza sacrificare, però, l'originalità. Il mito dei Genesis, così, trova nuova vita nelle note di Chiarandini, che si abbandona allo strumento e non segue alcuna scaletta. Dopo qualche titubanza, il musicista ripropone "Mad Man Moon", opera sognante, malinconica e dagli echi debussiani. Il concerto si chiude all'insegna del classico, con "Horizons", pezzo ricco di riferimenti bachiani, nato come assolo acustico del chitarrista Steve Hackett e divenuto, in breve tempo, uno dei suoi maggiori successi. (Giulia Carrarini)
11/05/2013
Giovani pianisti crescono. Nell'intimo auditorium della scuola di musica Cluster, la versatilità...
Giovani pianisti crescono. Nell'intimo auditorium della scuola di musica Cluster, la versatilità del pianoforte viene mostrata dagli allievi - tutti giovanissimi - delle classi dedicate allo strumento. Si esibiscono in un repertorio che spazia da Adele ad Alicia Keys, passando per classici intramontabili che hanno fatto la storia della musica, come Imagine di John Lennon. Il pubblico, genitori ma anche curiosi amanti della musica, guarda con ammirazione questi piccoli artisti innamorati del proprio strumento, alcuni ancora acerbi, altri che sembrano già essere padroni dei tasti e delle note. Tra di loro Leonardo Monteiro, cantautore 22enne nato a Roma ma di origini brasiliane, che ha eseguito tre suoi brani e una cover di Stevie Wonder. Leonardo, anche se giovanissimo, non è proprio l'ultimo arrivato. Si è diplomato all'Accademia di danza della Scala e ha partecipato, come ballerino, all'edizione del talent show "Amici" di cinque anni fa, quella dove trionfò Alessandra Amoroso. Poi, però la svolta. "Ho iniziato a suonare il piano e a cantare solo due anni fa", dice con un sorriso timido, lui che, davanti al piano, tira fuori un'emozione e una voce insospettabili. "Probabilmente prima non credevo troppo nei miei mezzi". Il pubblico in sala, invece, ci crede, e tanto. Leonardo ha un grande talento, visibile anche da una persona non addetta ai lavori. E tanta passione, l'unica cosa che può spiegare perchè un ragazzo giovane come lui faccia ogni giorno la spola tra Chiasso, dove vive, e Milano, dove studia piano e canta. Quale futuro si prospetta? "Per ora canto con due band, con le quali eseguiamo cover. Sono contento così. Ho fatto molti provini, ma mi scoraggia un po' l'idea di ricevere dei no". Speriamo che da questa esibizione in occasione di Piano City Leonardo trovi la convinzione per perserverare fino a trovare, chissà, la porta giusta a cui bussare. (Francesco Loiacono)
11/05/2013
Milano baciata dal sole, la musica, il pianoforte, i posti più affascinanti della città. Piano c...
Milano baciata dal sole, la musica, il pianoforte, i posti più affascinanti della città. Piano city soprende, e lo fa con artisti di portata internazionale. Una di queste, Monica Leone, ha strabiliato sabato pomeriggio i presenti nella Sala d’Arte Povera al Museo del Novecento. Le leggiadre melodie spuntate fuori dallo Yamaha nero della pianista nata a Campobasso, hanno risuonato per più di un’ora nei corridoi del quarto piano del celebre Museo milanese. Arte e musica (le celebri variazioni Goldberg di Bach) insieme, mani che scorrono veloci e dolcemente sui tasti di un pianoforte hanno emozionato un pubblico che, al termine del concerto, ha tributato lunghi minuti di applausi alla Leone. Il suo Bachk to the future, come si legge sul sito della Leone, era già stato valutato positivamente da Leonardo Pinzauti, autorevole musicologo e critico musicale che ha scritto: «L’esecuzione pianistica delle Variazioni Goldberg, portata a termine con grandissimo successo di pubblico da Monica Leone, è risultata di grande intelligenza musicale e perfetto dominio tecnico…”. Chi c’era, sabato pomeriggio, ha potuto constatarlo dal vivo.
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